Focus Covid-19 – Contagi e vaccinazioni: un’estate “non” spericolata

a cura di Bruno Paccagnella

Per dubbi e approfondimenti potete scrivere a:  associazione@associazionefsf.it

Con questa nuovo approfondimento si chiude la rubrica dedicata all’andamento in Lombardia della pandemia Covid-19 e della somministrazione delle vaccinazioni. I dati sono incoraggianti e speriamo che questo momento difficile e doloroso possa concludersi presto e si possa tornare ad analizzare nuove tematiche di interesse generale.

A presto

COVID 19: si respira aria di libertà
(aggiornato al 22 giugno 2021)

Il 18 febbraio dello scorso anno si presentava all’ospedale di Codogno quello che poi sarebbe diventato il “paziente 1”; due giorni dopo ne veniva accertata la positività al COVID-19 e cominciava allora il calvario che tutti abbiamo attraversato. Prima di allora, confinato in un sola provincia cinese, il virus “mai sarebbe arrivato in Italia” ci veniva detto, e invece non solo arrivava in Italia, ma in poco tempo si diffondeva a livello planetario: a oggi, i dati ufficiali, per quanto sottostimati, parlano, nel mondo, di quasi 180 milioni di persone contagiate (oltre 33 milioni negli Stati Uniti, 30 milioni in India, 18 milioni in Brasile) e poco meno di 4 milioni di morti (oltre 600 mila negli Stati Uniti, oltre 500 mila in Brasile, quasi 400 mila in India….).

Fatte le debite proporzioni con i 60 milioni di residenti in Italia, nemmeno da noi si è scherzato: i casi totali sono arrivati a oltre 4,2 milioni (840 mila dei quali in Lombardia, regione più colpita in assoluto) e i decessi hanno superato le 127 mila unità, delle quali quasi 34 mila in Lombardia.

L’epidemia ha colto di sorpresa e impreparata la politica nazionale, come le amministrazioni locali, il personale medico-infermieristico, così come i sistemi sanitari nel loro insieme; in particolare questi ultimi, che in ogni singola regione godono di autonomia quasi assoluta, si sono trovati a fronteggiare un nemico praticamente sconosciuto, e anche quelli considerati “fiori all’occhiello”, come quello lombardo, sono spesso “andati in tilt”.

Passata l’epidemia, anche questo sarà uno dei temi fondamentali da affrontare, in tutti i suoi aspetti, da quello del decentramento delle competenze (dallo Stato alle Regioni), giù giù fino al ruolo dello stesso medico di famiglia. Difficile dire se sarà più arduo sconfiggere definitivamente il virus, o smantellare i sistemi di potere che governano la sanità in ogni regione.

Già, “passata l’epidemia”, dicevamo…. Ma è davvero passata? L’andamento dei vari aspetti (nuovi contagiati, terapie intensive, ricoverati, decessi, indice Rt, ecc., ecc.) da tre mesi a questa parte sta costantemente migliorando: le restrizioni ai “movimenti” individuali si stanno allentando, le attività economiche sono in ripresa, le vaccinazioni procedono a ritmi sostenuti, e sicuramente contribuiscono non poco a frenare la diffusione dei contagi. Un dato per tutti: lunedì 21 giugno i “nuovi casi”, a livello nazionale, sono stati meno di 500, vale a dire poco più dell’1% dei quasi 41 mila nuovi casi individuati il 13 novembre dello scorso anno, momento di culmine della “seconda ondata”; ma potremmo anche citare i morti, scesi (sempre a livello nazionale) nell’ordine delle poche decine al giorno, quando, anche nella prima ondata, sfiorarano le mille unità giornaliere (oltretutto, non ce lo potremo mai dimenticare, altamente concentrate in un numero limitato di comuni lombardi).

Dati in continuo miglioramento, allentamento delle restrizioni (tra poco potremo fare a meno anche della mascherina!), maggiori possibilità di “tracciare” i contatti dei positivi per bloccare sul nascere nuovi focolai, fine delle scuole, imminenza delle vacanze, vaccinazioni a pieno ritmo…. Insomma si sta già respirando una contagiosa aria di libertà, come se il virus fosse davvero stato sconfitto. Le “autorità” non smettono (nè potrebbero non farlo) di richiamarci alla prudenza, ma sembrano destinate a restare inascoltate. Ovviamente l’auspicio è di esserne usciti, ma senza voler fare il “bastian contrario”, due sono gli argomenti forti a favore della prudenza, che doverosamente vanno ricordati: le capacità di mutazione del virus (dopo quella inglese, la variante brasiliana e ora l’indiana, sempre più aggressive) e le incertezze sulla durata della protezione assicurata dal vaccino.

Grazie al vaccino sicuramente non succederà come lo scorso anno, quando le libertà comportamentali del periodo estivo portarono a una seconda ondata, ma, a rischio di essere pedanti e banali, per il momento ci associamo agli inviti alla prudenza.

Vaccinazioni a passo di carica
(aggiornato al 22 giugno 2021)

Al momento in cui scriviamo, 22 giugno, le dosi di vaccino consegnate alle regioni hanno superato i 50,3 milioni di unità, e di queste oltre 47 milioni (il 93,4%) sono già state somministrate. Da quasi un mese la media giornaliera (su base settimanale) si attesta in Italia oltre il mezzo milione di vaccinazioni; in Lombardia da più di tre settimane supera invece le 90 mila somministrazioni.

La “macchina” organizzativa che il Generale Figliuolo ha messo in moto procede a ritmo spedito (vien da chiedersi, ma questo Figliuolo, è un alpino o un bersagilere?), e “regge” anche a quelle che possono essere considerate “interferenze esterne”, dovute cioè alle scelte di natura scientifico-politica in ordine a quali vaccini somministrare, a quali classi di età, e con quali scadenze tra prima dose e richiamo e così via.

I soggetti vaccinati con prima e seconda dose, o con vaccino monodose, sono quindi ormai quasi 16,3 milioni in Italia e oltre 2,8 miloni in Lombardia, pari rispettivamente al 27,3 e al 28,1% della popolazione residente; oltre a questi soggetti, “totalmente immunizzati”, altre 15,6 milioni di persone in Italia e 2,8 milioni in Lombardia, hanno ricevuto la prima dose, e sia pure con un grado di protezione inferiore, sono anch’esse immunizzate; nel complesso, più di metà dei residenti (il 53,5% in Italia, il 56,1% in Lombardia) gode quindi di un grado più o meno elevato di protezione, e già questo contribuisce in misura tutt’altro che marginale a contenere la diffusione dei contagi.

Lasciamo però da parte i numeri (che si possono agevolmente consultare sul sito https://www.governo.it/it/cscovid19/report-vaccini/) e riflettiamo per una volta sui rischi connessi alla somministrazione dei vaccini, che indubbiamente esistono, e che nessuno nega; le aziende produttrici arrivano anche a quantificare la quota stimata dei possibili “casi avversi” sul totale delle somministrazioni; numeri piccolissimi, ovviamente, ma di fronte ai quali da parte di scettici, dubbiosi e contrari ai vaccini, la risposta è solitamente questa: “Già, ma se capitasse a me, o a chi mi è vicino?”

Possiamo anche accettare l’affermazione che “i vantaggi superano i rischi”, ma questa, come la pura e semplice razionalità dei numeri, non basta; vi è però un’altra considerazione che credo si debba fare e che nulla ha a che vedere con numeri, statistiche, o calcoli della probabilità. Ed è questa.

Di chi, fatto il vaccino, ha una reazione avversa grave, che, come visto anche di recente, può arrivare fino alla morte, sappiamo tutto: quanti sono, ma soprattutto nome, cognome, età, e ogni altra notizia, anche privata che si riesca a raccogliere. Ma vi è un’altra categoria di persone che nessuno cita, perché non può essere nè quantificata, nè individuata nominativamente: quella dei “non morti” che sono tali, magari senza saperlo, proprio grazie al fatto di essere stati vaccinati.

Possono essere mille o centomila, a fronte magari di un solo morto, ma questi “non morti” grazie al vaccino non ci commuovono, non fanno cambiare idea a nessuno, e la ragione è molto semplice:  di loro non sappiamo nulla, perché a nessuno di loro può essere associato un nome e un cognome, un volto, una storia, una  vita.

Non avremmo cuore, se non ci commuovessimo di fronte a quell’unico morto di cui giornali e telegiornali ci raccontano tutto, ma non dimentichiamoci che i “non morti”, pochi o tanti che siano, hanno anch’essi un nome e un cognome, con la sola differenza che non li sapremo mai, anche se quel nome e cognome potrebbero essere i nostri.

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