Quando la mensa fa scuola

Dopo l’incontro dell’Associazione con l’Istituto Salesiano, alcuni studenti delle superiori hanno voluto provare l’esperienza di volontariato alla mensa di Via Saponaro. Ecco la testimonianza di Francesco.

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Non mi era mai capitato di entrare nel mondo del volontariato, almeno non stando a stretto contatto con chi deve essere aiutato. Quando la mia scuola, l’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio, mi ha offerto questa attività, non ci ho pensato un attimo a propormi.

Non mi sbagliavo: una volta andato alla mensa della Fondazione Fratelli di San Francesco per la prima volta sapevo che ci sarei dovuto ritornare. L’ambiente mi ha fatto subito sentire come a casa, perché si vede che, come me, anche tutti gli altri si sentono accolti.

Al servizio mensa sono diverse le cose che si possono fare: tagliare il pane, preparare le sale, aiutare in sala e servire. Per il mio primo giorno ho scelto di mettermi in sala. Inizialmente il lavoro doveva essere solo quello di controllare che fosse tutto a posto e ogni tanto riempire qualche brocca. Ma sembrava troppo facile e stare fermo per poco più di cinque minuti è davvero difficile in un ambiente come quello. Allora mi sono spostato in mezzo tra la sala e la cucina, per svuotare e lavare i vassoi. Stando vicino all’uscita della sala, il bello di quel lavoro è che si possono salutare gli ospiti e a volte sentirsi dire grazie.

Nei servizi successivi, invece, mi sono messo a servire all’entrata. Ho notato subito la differenza, perché è più facile avere un dialogo e quindi fare un confronto tra gli ospiti: ognuno è diverso.

Il momento giusto per fare una battuta c’è sempre. Mentre servo ai primi, sento un ragazzo parlare con un altro di una partita del Milan. Allora mentre passa gli lascio la minestra accompagnandola con un “Forza Inter”. Lui senza pensarci un attimo prende il piatto e mi risponde: “Grazie. Forza Milan”.

Il fatto che ci si senta a casa fa anche sì che molti la vedano davvero come un luogo proprio. Mentre sono al mio primo servizio tra sala e cucina, vedo una donna che fa cadere accidentalmente un piatto. Dal tavolo affianco si alza subito un ragazzo, mi si avvicina e mi chiede una scopa per pulire. Mentre vado a prenderla nota che per terra è bagnato e mi dice di stare attento a non scivolare. Come se davvero fosse a casa sua, pulisce per terra, riporta la scopa e torna a mangiare al tavolo. Poi mentre esce lo saluto e gli chiedo il nome: si chiama Yusuf.

La prima cosa che mi ha colpito è il nome che viene dato a chi usufruisce della mensa: gli ospiti. Mi sono subito reso conto del motivo per cui è sbagliato parlare di mensa dei “poveri”: ognuno ha il suo comportamento, la sua storia, la sua cultura, ed è bello rendersi conto per davvero che ognuno è una persona con una sua dignità. Soprattutto è bello vedere che quella dignità emerge proprio all’interno della struttura della mensa, di cui è molto facile sentirsi parte.

Un’altra cosa che ho imparato grazie alle mie poche esperienze è che il proprio atteggiamento cambia tantissimo l’umore degli altri. Mi è capitato di notarlo servendo i primi, ma soprattutto aiutando tra la cucina e la sala da pranzo: un saluto gentile, un cenno con la mano, sono cose che fanno la differenza nella vita di una persona, anche se spesso le diamo per scontate.

Francesco
(studente del V anno)

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