Per immaginare un altro Miracolo a Milano

Il 2021 è stato il 70esimo anniversario dell’uscita di un capolavoro del cinema italiano dedicato a Milano e soprattutto ai suoi cittadini che vivono ai margini, i più poveri.

È “Miracolo a Milano”, nelle sale nel 1951, sceneggiatura di Cesare Zavattini, regia di Vittoria De Sica. Un film attualissimo anche oggi, perché affronta il tema della povertà e dei “barboni” – come si chiamavano – con le forme artistiche della favola cinematografica e quindi con accenti e toni quasi senza tempo.

L’attualità di questo film – il cui il titolo provvisorio era “I poveri disturbano” –  e le riflessioni che induce ancora oggi sono particolarmente importanti per chi ha un’attenzione di cura per le persone meno fortunate, i poveri più poveri, i “senza fissa dimora”, chi vive sostenuto anche dall’assistenza delle istituzioni e delle associazioni di volontariato.

Al film di De Sica e Zavattini e alle sue molteplici implicazioni è stato dedicato un libro prezioso uscito da qualche settimana: “Miracolo a Milano. Un omaggio a un film e a una città”. Un libro scritto da autori vari, curato da Gianni Biondillo ed edito da EuroMilano.

I diversi interventi delineano un ritratto della città e delle sue mutazioni, soprattutto lungo le linee della dialettica fra sviluppo e emarginazione, fra centro e periferie, fra urbanistica e narrazioni. Un libro che è anche una storia del cinema e della letteratura, dal dopoguerra a oggi, dedicate alla società milanese, con immagini che consentono di delineare una mappa delle trasformazioni, con un occhio sempre attento a chi è in difficoltà, a chi lavora duramente ma anche a chi il lavoro l’ha perduto, a chi dorme per strada, nei ricoveri.

Lo sguardo tenero e disincantato nel campo dei barboni di “Miracolo a Milano” – che De Sica fece costruire vicino alla ferrovia a Lambrate, nella attuale via Valvassori Peroni – ci aiuta ad avvicinare ancora oggi in modo empatico e rispettoso della complessità umana chi vive ai margini della società. Avvicinarsi senza pensare di poterne interpretarne i sogni e le ambizioni, le durezze e le sofferenze e le insofferenze, senza pietismo ma con solidarietà e esigenza di giustizia sociale.

Nel memorabile finale del film del ’51 i barboni dell’accampamento, arrivati da Lambrate in Piazza del Duomo, usano le scope degli spazzini come strumento magico per volare in cielo, per andarsene in un luogo che non conosciamo. Un finale citato e omaggiato da grandi registi, per esempio da Steven Spielberg in “E. T. l’extraterrestre” che usò le biciclette invece delle scope.

Riguardando “Miracolo a Milano” – facilmente rintracciabile in rete – provo a immaginare quale potrebbe essere, oggi, un miracolo come quello immaginato da Zavattini.

Luigi Gavazzi

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